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Cultura e Arte - Quando una caffettiera fa carriera. Breve storia di un museo di varietà
A ciascuno di noi sarà capitato di avere una zia o una nonna che nel salotto “buono” ha un mobile intoccabile dove sono accumulati, senza un criterio ben preciso, ninnoli di ogni genere: bomboniere di matrimoni e battesimi di famiglia, soprammobili regalati nel corso del tempo, souvenir di viaggio anche un po’ kitsch, servizi di piatti o da tè mai usati. Questo accumulo indiscriminato di oggetti non è tanto diverso da quello che Dominique Vivant Denon, futuro primo direttore del Louvre, nel 1779, in visita presso i monastero dei padri benedettini di San Nicolò l’Arena a Catania, osservava nel loro museo tanto da fargli annotare «ad ogni istante si riscontra in questa collezione, come in tutte quelle dei monaci, l’istinto della formica che raccoglie ed accumula indiscriminatamente e con la stessa passione il chicco di grano e l’inutile pezzo di legno: felice istinto questo, da cui sono nate le prime collezioni».
Il museo benedettino, infatti, si poteva assimilare ad una vera e propria wunderkammer, letteralmente “camera delle meraviglie”. Insieme ai reperti archeologici ed ad oltre centosettanta dipinti, nelle «quattro larghe stanze» che ospitavano la collezione vi erano diversi oggetti dai materiali e dalla provenienza più disparati. Oltre a piccoli «quadrettini» realizzati su pietra, a mosaico, su tavola, usando tecniche diverse, erano esposti anche oggetti preziosissimi, come due splendidi tavolini intarsiati in avorio ed ebano, un mobile in tartaruga, rompicapi in avorio di manifattura nordica, statuette di cera ma anche armi ed armature, maioliche, terrecotte di provenienza orientale, statuette del presepe napoletano e scarpine di tessuto. Un piacere, quello per le cosiddette “arti decorative”, tipico di alcuni collezionisti, tra Cinquecento e Settecento, che amavano possedere e raccogliere quanto, prodotto dalla natura o dall’ingegno umano, potesse destare meraviglia.
Tra i diversi oggetti del museo benedettino che, dopo la soppressione degli ordini religiosi del 1868, sono entrati a far parte delle collezioni civiche di Catania – oggi ospitate all’interno di Castello Ursino – è conservata anche una delicatissima caffettiera in porcellana. Il coperchio a cupola e il beccuccio a forma di drago, permettono di ricondurla alla manifattura Ginori di Doccia, nei pressi di Firenze, uno dei centri di produzione di porcellana più importanti in Italia, fondata nel 1737 dal marchese Carlo Ginori e successivamente acquistata nel 1896 da Augusto Richard, dando vita alla Società Ceramica Richard-Ginori.
La forma della caffettiera, col coperchio lievemente rialzato, e, soprattutto, la leggera decorazione a giuochi di bambini, ispirata alle stampe del pittore francese Jaques Stella e realizzata con la tecnica “a stampino”, consentono di circoscrivere la realizzazione tra il 1745 ed il 1750. Sebbene tale decorazione ebbe molto successo, conobbe breve vita all’interno della manifattura e non se ne hanno più tracce negli inventari successivi al 1757, tanto che non sono molti ad oggi i pezzi Ginori che riportano un motivo simile.
Dalle descrizioni del monastero dei benedettini non è possibile evincere se un oggetto di uso così quotidiano fosse esposto tra le altre meraviglie del museo - e quindi considerato come oggetto da esibire - o se avesse conosciuto un uso durante pranzi o cene, magari con i diversi ospiti illustri che tra Settecento ed Ottocento hanno visitato il sontuoso edificio. Qualunque sia stata la sua destinazione iniziale, questa fragile e rara caffettiera settecentesca ha attraversato indenne quasi tre secoli di storia per raggiungere le vetrine del museo civico catanese, piccola testimonianza del gusto dei monaci benedettini.
Sandra Condorelli