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Ai femminicidi opponiamo una cultura del dialogo e della protezione delle donne
Il femminicidio compiuto nei giorni scorsi con la morte di Giulia ha suscitato una forte ed intensa reazione di condanna per la estrema e mortale violenza esercitata da un uomo che privo di emozioni e sentimenti ha distrutto non solo la vita di una donna ma anche quella di suo figlio ancora in grembo. Una tragedia che ha scosso tutti perché maturata in un vortice di tradimenti e falsità e coltivata dalla narcisistica voglia di possedere e dominare le proprie donne. Un incredibile déjà-vu. Quanti femminicidi e quanta la violenza che emerge come lava distruttrice dalle case forzatamente protette da un diritto alla privacy, in cui si compiono atti di violenza che prima è psicologica e poi fisica. Quante vittime, quanta dipendenza dai propri partner. Tutto aggrovigliato in una inestricabile relazione che assomiglia ad una cella carceraria sempre più stretta e soffocante.
Il vero problema che molte donne pur essendo consapevoli della insostenibilità del rapporto con il partner non riescono a staccarsene perché la dipendenza creata è come tutte le subdole dipendenze da cui si potrebbe guarire ma ad una condizione: avere la forza di tranciare la relazione senza curarsi delle conseguenze. Ma come si fa se si è costretti da ricatti e violenze nel chiuso di una relazione tossica? Non possiamo rassegnarci. La società deve sempre più proteggere le donne divenute vittime. Tanto si è fatto con le leggi che prevedono l‘immediato intervento delle forze dell’ordine ma solo quando si ha il coraggio di denunciare. Il problema da risolvere è l’insufficiente consapevolezza a tutti i livelli che non ci si può illudere di recuperare i rapporti quando le varie espressioni del narcisismo patologico governano la relazione. Le donne debbono essere messe nelle condizioni di identificare i segni premonitori di una violenza che prima si camuffa con amore e buon carattere e poi si trasforma in progressione in atti anaffettivi e violenti.
La soluzione è “Non fidarsi di nessun uomo” o “L’individualismo protettivo”? No, queste sarebbero reazioni che comprometterebbero anche quanto di bello vuole esprimersi con i sani sentimenti e le virtuose relazioni, basate sull’amore e il rispetto reciproco. Il nostro compito dovrebbe essere quello di promuovere reti di amicizie sempre più ampie e radicate nelle nostre comunità, così da fare germogliare gli anticorpi della violenza, con la fraternità e il dialogo e con l’essere operatori di pace e di solidarietà.
Gaetano Mellia
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