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La Pace non poteva più aspettare. Ora che è stata uccisa, chi la risusciterà?
Un’altra guerra è scoppiata, tra palestinesi e israeliani. A che serve, per l’ennesima volta, ricominciare il teatrino delle responsabilità altrui, della guerra giusta, del chi per primo ha iniziato e dell’altro che continua? L’insofferenza covava da tempo: sono passate inosservate le morti e gli attentati dell’ultimo anno in Israele, le contraddizioni di un governo che si è sfiduciato da solo. E che dire dell’assenza imperdonabile di Europa e USA per una politica di desistenza e per un riordino ragionato e condiviso dei precari equilibri dei territori mediorientali, da sempre ostili a Israele? E dell’effetto domino della guerra in Ucraina e del rinverdirsi di orgogli nazionalistici in formato terroristico? Dove eravamo mentre la gente soffriva, piangeva, invocava pace? Cosa facevamo, se non stigmatizzare e prendere le distanze dai “colpevoli”, alimentando vendette sotto forme di guerre?
San Giovanni Paolo II aveva capito tutto, inascoltato, sul valore religioso e politico della condivisione delle medesime origini e scaturigini, che si trattasse di Gerusalemme “città condivisa”, che si trattasse dell’Europa e delle sue “radici cristiane”. Le Culture, le Religioni, gli Stati prima o poi pagano il conto delle loro presunzioni o distrazioni. È solo questione di tempo.
E adesso, “il Dio di pace”, l’Unico Dio che ebrei, musulmani e cristiani invocano alla stessa maniera, cosa mai potrà fare, se il Suo nome è stato ucciso? Chi risusciterà la pace dopo questa mattanza umana, demoniaca violenza che è nel cuore di offesi e offensori e che certamente sarà eredità delle generazioni future?
Dall’inizio del suo Pontificato Papa Francesco, in accordo con i suoi predecessori, non ha mancato di ricordare, con parole e gesti, il valore di una “Pacem in terris”. Ed ecco che, nell’anno sessantesimo della pubblicazione dell’Enciclica di san Giovanni XXIII, testo profetico che ha cambiato il corso della storia dei diritti umani, siamo stati capaci di riscrivere Pacem in terris, con il sangue di altri innocenti, in “Bellum (guerra) in terris”.
Sono legato alla Terra Santa, affettivamente ed effettivamente da tanti anni, 27 anni di frequenza ininterrotta. Ho visitato tanti Paesi dello scacchiere Medio Orientale, come Presidente della Fondazione Vaticana dedicata alla famiglia in Nazareth e come Rappresentante Speciale per i diritti umani e per la discriminazione religiosa dell’Organizzazione per la Sicurezza e Cooperazione in Europa (Israele, come gli USA, sono tra gli oltre 50 Paesi dell’area OSCE). So di cosa parlo. So cosa ho visto. So cosa molti, per troppo tempo, hanno fatto finta di vedere, come già negli anni di gestazione del conflitto tra Russia e Ucraina.
Oggi in Israele e nello Stato Palestinese si piange. E nessuno consideri “giuste” o “giustificabili” queste morti. Ho avuto modo, in queste ore, pur trovandomi in Messico, di raggiungere al telefono amici ebrei, palestinesi e cristiani, che vivono in Israele e in Palestina. Invocano pace e non vogliono che la Terra Santa diventi lo spazio di una nuova guerra globale, da cui davvero non si verrebbe fuori.
“Un grido è stato udito in Rama, un pianto e un lamento grande. Rachele piange i suoi figli e non vuole essere consolata, perché non sono più” (in Ger 31, 15-19 e Mt 2, 18). Rachele è Gerusalemme. Rachele sono le madri del mondo che soffrono vendette, violenze, guerre e che non chiedono più consolazione, ma solo che altri figli non continuino a morire. Che non muoiano nostri figli, i nostri fratelli, il nostro comune destino. Dove c’è morte c’è Satana! E il male mortale non si sconfigge con le armi, bensì “con il digiuno e con la preghiera” – come insegna Gesù (cf Mt 17, 21) – che ora dobbiamo intensificare a livello personale e comunitario.
Invochiamo insieme Dio, con insistenza, con convinzione, con fede carismatica; che si volga a compassione e ci salvi. “Il suo nome sarà Consigliere ammirabile, Padre per sempre, Principe della pace. Grande sarà il suo potere e la pace non avrà fine sul trono di Davide e sul suo regno” (Is 9, 5-6).
Salvatore Martinez
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