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La fuga dall'artigianato
Non bastava in Italia essere a corto di medici, infermieri, matematici, ingegneri, informatici e addirittura di maestri elementari. Siamo carenti anche di decine di tipologie lavorative artigiane e, in generale, di operatori che provvedono a manutenzioni e riparazioni. Analizzeremo la situazione mettendo assieme i due report del 2023 e del 2024 sulla fuga dall’artigianato dell’Ufficio Studi della Cgia – l’Associazione Artigiani e Piccole Imprese – di Mestre. Dopo avere esaminato dati, cause del crollo, percentuali e differenze tra regioni faremo due originali proposte per correre ai ripari: 1) l’introduzione nell’ordinamento scolastico nazionale di un nuovo corso di studi, la “Scuola Superiore per l’Artigianato”; 2) l’introduzione – siamo in pieno dibattito sullo “ius scholae” - nel nostro paese dello “ius manifacturae” o “ius artificii” (ammettiamo di non sapere quale sia la traduzione più corretta).
Cominciamo dal report 2024. Il 17 agosto scorso la Cgia diffonde uno studio dal titolo che più inequivocabile non possa scriversi: “A.A.A. Artigiani cercasi. Ormai abbiamo più avvocati che idraulici”. Sottotitolo: “Nei prossimi anni sono a rischio manutenzioni e riparazioni”. L’Ufficio Studi della Cgia ha elaborato i dati dell’Inps e di Infocamere/Movimprese.
1.Fuga dall’artigianato
Ecco cosa emerge: “Continua a scendere il numero complessivo degli artigiani presenti nel nostro Paese. Stiamo parlando di persone che in qualità di titolari, soci o collaboratori familiari svolgono un’attività lavorativa prevalentemente manuale. Pertanto, per poter contare sulla copertura previdenziale devono iscriversi nella gestione artigiani dell’Inps. Se nel 2012 erano poco meno di 1.867.000 unità, nel 2023 la platea complessiva è crollata di quasi 410mila soggetti (-73mila solo nell’ultimo anno); ora il numero totale sfiora quota 1.457.0001. In questi undici anni abbiamo assistito a una caduta verticale che si è interrotta solo nell’anno post Covid (+2.325 tra il 2021 e il 2020). Se questa tendenza non sarà invertita stabilmente, non è da escludere che entro una decina d’anni sarà molto difficile trovare un idraulico, un fabbro, un elettricista o un serramentista in grado di eseguire un intervento di riparazione/manutenzione presso la nostra abitazione o nel luogo dove lavoriamo. Secondo i dati Infocamere/Movimprese, anche il numero delle aziende artigiane attive è in forte diminuzione. Se nel 2008 (anno in cui si è toccato il picco massimo di questo inizio di secolo), in Italia le imprese artigiane erano pari a 1.486.559 unità, successivamente sono scese costantemente e nel 2023 si sono fermate a quota 1.258.079. Va comunque segnalato che questa riduzione in parte è anche riconducibile al processo di aggregazione/acquisizione che ha interessato alcuni settori dopo le grandi crisi 2008/2009, 2012/2013 e 2020/2021. Purtroppo, questa “spinta” verso l’unione aziendale ha compresso la platea degli artigiani, ma ha contribuito positivamente ad aumentare la dimensione media delle imprese, spingendo all’insù anche la produttività di molti comparti; in particolare, del trasporto merci, del metalmeccanico, degli installatori impianti e della moda”.
Il report 2024 ripercorre ed aggiorna la situazione analizzata nel 2023. L’anno scorso i ricercatori della Cgia avevano fatto ricorso ad un titolo altrettanto ad effetto: “Fuga dall’artigianato. Tanti chiudono e si mettono a fare i dipendenti. I giovani, invece, non si avvicinano più”. Molti concetti del report 2023 sono ripresi pari testualmente in quello del 2024. Nel report 2023 si sottolineava che “senza botteghe si estinguono le imprese familiari”.
E non veniva trascurato il costo sociale, anche in termini di sicurezza pubblica, di queste chiusure: “Con saracinesche abbassate città più insicure. Basta osservare con attenzione i quartieri di periferia e i centri storici”.
2.Più avvocati che idraulici
Entriamo nel report di pochi giorni fa. Nel quale sono presenti confronti ad effetto, che si commentano da soli: “Abbiamo più avvocati che idraulici. Negli ultimi decenni tante professioni ad alta intensità manuale hanno subito una svalutazione culturale che ha allontanato molti ragazzi dal mondo dell’artigianato. Il tratto del profondo cambiamento avvenuto, ad esempio, è riscontrabile dal risultato che emerge dalla comparazione tra il numero di avvocati e di idraulici presenti nel nostro Paese: se i primi sfiorano le 237mila unità, si stima che i secondi siano “solo” 180mila. E’ evidente che la fuga dei cervelli in atto nel nostro Paese e, per contro, la mancanza di tante figure professionali di natura tecnica sono imputabili a tante criticità. A nostro avviso le principali sono: lo scarso interesse che molti giovani hanno nei confronti del lavoro manuale; la mancata programmazione formativa verificatasi in tante regioni del nostro Paese e l’incapacità di migliorare/elevare la qualità dell’orientamento scolastico che, purtroppo, è rimasto ancorato a vecchie logiche novecentesche di gentiliana memoria”.
E tornano, ancora più evidenziati, concetti e analisi del report del 2023: “Senza botteghe si estinguono le imprese familiari. La contrazione degli artigiani e delle loro attività si possono notare anche a occhio nudo. Girando per le nostre città e i paesi di provincia sono ormai in via di estinzione tantissime botteghe artigianali. Insomma, non solo diminuisce il numero degli artigiani e le aziende di questo settore, ma anche il paesaggio urbano sta cambiando volto. Sono ormai ridotte al lumicino le attività storiche che ospitano calzolai, corniciai, fabbri, falegnami, fotografi, lavasecco, orologiai, pellettieri, riparatori di elettrodomestici e tv, sarti, tappezzieri, etc. Attività, nella stragrande maggioranza dei casi a conduzione familiare, che hanno contraddistinto la storia di molti quartieri, piazze e vie delle nostre città, diventando dei punti di riferimento per le persone che sono cresciute in questi luoghi.
Con saracinesche abbassate città più insicure Il degrado urbano si sta allargando a macchia d’olio; basta osservare con attenzione i quartieri di periferia e i centri storici per accorgersi che sono tantissime le insegne che sono state rimosse e altrettante sono le vetrine non più allestite, perennemente sporche e con le saracinesche abbassate. Sono un segnale inequivocabile del peggioramento della qualità della vita di molte realtà urbane. Le città, infatti, non sono costituite solo da piazze, monumenti, palazzi e nastri d’asfalto, ma, anche, da luoghi dove le persone si incontrano, anche per fare solo due chiacchere. Queste micro attività conservano l’identità di una comunità e sono uno straordinario presidio in grado di rafforzare la coesione sociale di un territorio. Senza botteghe a pagare il conto sono gli anziani. Con meno botteghe e negozi di vicinato, diminuiscono i luoghi di socializzazione a dimensione d’uomo e tutto si ingrigisce, rendendo meno vivibili e più insicure le zone urbane che subiscono queste chiusure, penalizzando soprattutto gli anziani. Una platea sempre più numerosa della popolazione italiana che conta più di 10 milioni di over 70. Non disponendo spesso dell’auto e senza botteghe sottocasa, per molti di loro fare la spesa è diventato un grosso problema”.
Vale la pena ricordare – il dato è sempre della Cgia anche se non presente nei due report – che mancano all’appello in Italia anche ben 22.000 autisti.
Esistono però settori artigiani in controtendenza. Quali sono? “Non tutti i settori artigiani hanno subito la crisi. Quelli del benessere e dell’informatica presentano dati in controtendenza. Nel primo, ad esempio, si continua a registrare un costante aumento degli acconciatori, degli estetisti e dei tatuatori. Nel secondo, invece, sono in decisa espansione i sistemisti, gli addetti al web marketing, i video maker e gli esperti in social media. Va altrettanto bene anche il comparto dell’alimentare, con risultati significativamente positivi per le gelaterie, le gastronomie, le pulitintolavanderie a gettone e le pizzerie per asporto ubicate, in particolare, nelle città ad alta vocazione turistica”.
3.Le cause
Veniamo alle cause dell’abbandono e delle chiusure enunciate nel report del 17 agosto: “L’invecchiamento progressivo della popolazione artigiana, provocato in particolar modo anche da un insufficiente ricambio generazionale, la feroce concorrenza esercitata dalla grande distribuzione e in questi ultimi anni anche dal commercio elettronico, il boom del costo degli affitti e delle tasse nazionali/locali hanno costretto molti artigiani a gettare la spugna. Una parte della “responsabilità”, comunque, è ascrivibile anche ai consumatori che in questi ultimi dieci anni hanno cambiato radicalmente il modo di fare gli acquisti, sposando la cultura dell’usa e getta, preferendo il prodotto fatto in serie e consegnato a domicilio. La calzatura, il vestito o il mobile fatto su misura sono ormai un vecchio ricordo; il prodotto realizzato a mano è stato scalzato dall’acquisto scelto sul catalogo on line o preso dallo scaffale di un grande magazzino”.
Ma è a monte che si colloca quella che ci piace definire “la madre di tutte le cause”. Per strano che possa apparire di natura culturale-antropologica. Ormai storica. Osservano gli analisti dell’Ufficio Studi della Cgia, anche in questo caso riprendendo il frasario dell’anno precedente: “Dobbiamo rivalutare culturalmente il lavoro manuale. Negli ultimi 40 anni c’è stata una svalutazione culturale spaventosa del lavoro manuale. L’artigianato è stato “dipinto” come un mondo residuale, destinato al declino e per riguadagnare il ruolo che gli compete ha bisogno di robusti investimenti nell’orientamento scolastico e nell’alternanza tra la scuola e il lavoro, rimettendo al centro del progetto formativo gli istituti professionali che in passato sono stati determinanti nel favorire lo sviluppo economico del Paese. Oggi, invece, sono percepiti dall’opinione pubblica come scuole di serie b. Per alcuni, infatti, rappresentano una soluzione per parcheggiare per qualche anno i ragazzi che non hanno una grande predisposizione allo studio. Per altri costituiscono l’ultima chance per consentire a quegli alunni che provengono da insuccessi scolastici, maturati nei licei o nelle scuole tecniche, di conseguire un diploma di scuola media superiore. E nonostante la crisi e i problemi generali che attanagliano l’artigianato, non sono pochi gli imprenditori di questo settore che da tempo segnalano la difficoltà a trovare personale disposto ad avvicinarsi a questo mondo. Tante professioni non attraggono più.
In tutto il Paese si fatica a reperire nel mercato del lavoro giovani disposti a fare gli autisti, gli autoriparatori, i sarti, i pasticceri, i fornai, i parrucchieri, le estetiste, gli idraulici, gli elettricisti, i manutentori delle caldaie, i tornitori, i fresatori, i verniciatori e i batti-lamiera. Senza contare che nel mondo dell’edilizia è sempre più difficile reperire carpentieri, posatori
e lattonieri. Più in generale, comunque, l’artigiano di domani sarà colui che vincerà la sfida della tecnologia per rilanciare anche i “vecchi saperi”. Alla base di tutto, comunque, rimarrà il saper fare che è il vero motore della nostra eccellenza manifatturiera”.
Lo studio della Cgia si concentra prevalentemente sulle realtà urbane. Tuttavia non va dimenticato che su poco meno di 60 milioni di italiani almeno 15-16 milioni vivono in realtà rurali: cittadine, borghi, aree interne. Sai che gioia dovere percorrere 50 chilometri e recarti in un altro paese per riparare la ruota dell’auto o cambiare la lampadina del faro fulminata o fare risuolare le scarpe tue o di tua moglie perché nel tuo paese questi servizi artigiani non esistono più.
4. I dati
Anche il report 2014 riporta tabelle esaustive su numeri e percentuali di chiusure per le 103 province e 20 regioni del Belpaese. Ovviamente la voce “Andamento imprenditori artigiani” nel report 2023 rilevava la variazione in 10 anni (dal 2012 al 2022) mentre il report 2024 rileva quella in 11 anni, dal 2012 al 2023. Si registra qualche lieve variazione di posizione in classifica dall’anno scorso a quest’anno ma le dieci province più malandate come numeri assoluti e con percentuali di chiusure che vanno dal 32,7 al 28,7 per cento sono le stesse: Vercelli, Rovigo, Lucca, Teramo, Biella, Parma, Pescara, Mantova, Massa Carrara, Chieti. Anche le dieci province che resistono un po’ meglio registrano qualche modesto cambio di posizione rispetto al report 2023 ma sono le stesse. Si va da Messina, 94esima in graduatoria, a Palermo, Roma, Imperia, Vibo Valentia, Taranto, Reggio Calabria, Trieste, Napoli. Bolzano chiude la classifica con un più tranquillizzante 6,1 per cento di abbandoni di attività artigiane in undici anni.
Quanto alle regioni, le cinque messe peggio sono Abruzzo (-29,2 per cento), Marche (-26,3), Piemonte, Umbria, Toscana (-24,5). Fenomeno meno accentuato invece in Sicilia (-18,7 per cento), Puglia, Friuli-Venezia Giulia, Calabria, Campania, Trentino-Alto Adige che chiude la tabella con il 12,8 per cento.
Visto che siamo in Sicilia, uno sguardo infine a posizione in graduatoria, numeri assoluti e percentuali di chiusure negli undici anni nelle province dell’isola: 23) Caltanissetta, -1187, -25,5 per cento; 34) Enna, - 952, -23,9%; 61) Agrigento, -1726, -21,0%; 69) Trapani, -1910, -20,7%; 82) Catania, -4.199, -19,7%; 89) Ragusa, -1380; -18,1%; 90) Siracusa, -1299, -17,8%; 94) Messina, -2193, -16,1%; 96), -2670, -15,0%.
5.Introdurre un apposito corso di studi: la “Scuola Superiore per l’Artigianato”
Dati così allarmanti ci suggeriscono una duplice proposta: 1) senza perdere un solo giorno di tempo istituire in Italia un nuovo indirizzo di scuola superiore statale pubblica, la “Scuola Superiore per l’Artigianato” per contrastare il fenomeno; 2) favorire l’iscrizione al nuovo indirizzo di giovani migranti o di ragazzi immigrati di seconda generazione nati in Italia o qui da quando erano bambini collegandola ad uno specifico diritto di cittadinanza ossia lo “ius manifacturae” o “ius artificii”.
Come replicare ai tanti che potrebbero obiettare che in Italia le scuole professionali statali per formare artigiani esistono dal lontano 1859 (Legge Casati)? Semplice. La “Scuola Superiore per l’Artigianato” non sarebbe un percorso scolastico di serie B di ripiego per chi non era particolarmente dotato sui banchi o non voleva studiare. Sarebbe al contrario una
scuola superiore che si pone sull’identico piano di un liceo classico, scientifico, linguistico, di un istituto tecnico, di un istituto magistrale. Dunque una scuola superiore di serie A con molto studio sui banchi e con programmi di elevato impegno culturale. Come i tempi e la tecnologia richiedono. Una scuola superiore con specifiche peculiarità. A cominciare dal diretto legame con l’apprendimento nelle botteghe artigiane. La formula potrebbe essere un insegnamento alternato. Un giorno in classe per la teoria e le materie necessarie per tutti gli indirizzi, il giorno seguente nella bottega artigiana ad apprendere quella che sarà poi la professione della tua vita. Un bravo artigiano non si forma quando ha già 25 o 30 e passa anni per ripiego o perché non ha trovato migliori soluzioni lavorative. È troppo tardi. Si forma a partire da 15-16 anni.
Se è vero, come è vero, che si è fatto di tutto normativamente negli ultimi decenni per massacrare l’apprendistato, bisogna rassegnarsi a pagare un …dazio per evitare che l’artigianato – risorsa vitale e primaria per il nostro paese – scompaia sotto i colpi dell’e-commerce, di Amazon e compagna cantando. Senza starci a girare troppo attorno: l’artigiano che - come i professori in aula per la teoria, le lezioni, le materie - forma nella sua bottega studenti della “Scuola Superiore dell’Artigianato” trasferendo loro il suo prezioso sapere non pagherà un centesimo di tasse per questo suo compito e sarà retribuito (non parliamo di stipendio vero e proprio e tuttavia un ritorno economico per quanto modesto deve esserci). Esattamente come si retribuisce la professoressa che nella classe dell’istituto insegna allo stesso studente italiano o inglese o matematica o informatica.
Obiettivo della nuova scuola il maggiore reclutamento possibile di ragazzi italiani. E contemporaneamente il maggiore reclutamento possibile di ragazzi immigrati vista la discutibile “ritrosia da nababbi” dei nostri giovani per il lavoro manuale artigiano.
Se necessario, per coloro che frequentano la “Scuola Superiore per l’Artigianato” andranno riviste le norme che regolano in Italia l’avviamento al lavoro dei minorenni con contratto di apprendistato. Prevedono attualmente che per l’apprendistato per la qualifica e per il diploma professionale possono essere assunti ragazzi a partire dal 15esimo anno di età (art. 3, comma 1, D.Lgs. 167/11). Per il contratto di apprendistato professionalizzante o contratto di mestiere (art. 4, comma 1, D.Lgs. 167/11) e contratto di apprendistato di alta formazione e di ricerca l’età minima del lavoratore non deve essere inferiore a 17 anni. In questi casi, è possibile assumere un minorenne solo se è già in possesso di una qualifica professionale conseguita ai sensi del decreto legislativo 17 ottobre 2005, n. 226 (art. 5, comma 1, D.Lgs. 167/11).
6.Oltre allo “ius scholae” introdurre lo “ius manifacturae” o “ius artificii”
Concludiamo con la seconda e ancor più provocatoria proposta. Ossia lo strettissimo rapporto tra la nuova “Scuola Superiore per l’Artigianato” e il diritto di cittadinanza. Non prima d’aver messo in chiaro una premessa: chi firma questo articolo è dichiaratamente per lo “ius soli”. Senza se e senza ma. Tuttavia - considerata in materia la pavidità storica della sinistra e l’ostilità dichiarata della destra – piuttosto che polemizzare a vuoto e non legiferare perché non percorrere anche altre soluzioni in qualche modo contigue o collaterali allo “ius scholae”? Destinate a chi, figlio di immigrati, è nato in Italia
e alle migliaia di ragazzi minorenni che, quasi sempre da soli, approdano sulle nostre coste dall’Africa e dall’Asia o via terra dal confine con la Slovenia. L’iscrizione al primo anno della “Scuola Superiore per l’Artigianato” a conclusione delle medie inferiori comporterebbe la concessione automatica ma condizionata della cittadinanza italiana. In qualche modo in prova, da confermare e rendere definitiva al conseguimento del diploma al quarto anno. Ecco dunque che si dà vita ad un percorso di integrazione, sostegno scolastico, fiducia e messa in prova della tua vocazione lavorativa e della tua scommessa di vita in Italia. Non solo studiando ma anche imparando un lavoro che, non appena diplomato, può darti soddisfazioni economiche, possibilità di formarti una famiglia, essere “importante” e molto considerato in una comunità locale. Considerato proprio per l’attività lavorativa che svolgi per quella comunità, per la tua cittadina o il tuo quartiere se vivi in una grande città. In altre parole si mette alla prova anche il tuo desiderio di cittadinanza e di italianità. Di prima, seconda o terza generazione che sia. Deve essere forte l’investimento nel formare giovani artigiani neoitaliani di pelle più scura della nostra per svolgere in modo moderno e con gli strumenti del XXI secolo mestieri tradizionali, antichi di secoli. Per questi ragazzi, per questi “nuovi italiani” – ma italiani a tutti gli effetti – si deve costruire una nuova crescita formativa, culturale e professionale. A base di robusti corsi di lingua italiana (non esiste integrazione senza solida padronanza della lingua), di conoscenza della Costituzione, di tanta pratica artigianale. Per apprendere e diventare bravi, artigiani con elevata competenza in una delle tante declinazioni dell’universo artigiano. Produttivo o di servizio che sia. Dovranno essere loro salvare il nostro artigianato. Assieme ai giovani italiani …superstiti quanto a vocazione e manualità artigiana.
Infine una raccomandazione. Valida per tutti e per tutte le generazioni. Quando - rimettendo in discussione tutte le nostre certezze - ci convinceremo che un infarinato panettiere, un impiegato pubblico seduto alla scrivania, un danaroso, elegantissimo manager con cravatta e vestito da 3.000 euro hanno pari dignità culturale e lavorativa e che anzi per la società il primo è più fondamentale degli altri due, sarà sempre troppo tardi. Avremmo dovuto rifletterci da tanto, tanto tempo. Avremmo così evitato i guasti e i disagi del presente. Ma siamo ancora in tempo per prevenire quelli degli anni futuri.
Pino Scorciapino
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