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- Categoria: No alla Violenza
La tutela processuale delle vittime vulnerabili
La Decisione quadro 2001/220/GAI, approvata dal Consiglio dei Ministri dell’Unione il 15 marzo 2001, definisce al suo art. 1 “la vittima” come “la persona fisica che ha subito un pregiudizio, anche fisico o mentale, sofferenze psichiche, danni materiali causati direttamente da atti o omissioni che costituiscono una violazione del diritto penale di uno Stato membro”.
L’art. 2 prevede poi, in capo allo Stato, l’obbligo di garantire alle vittime vulnerabili un trattamento “specifico che risponda in maniera ottimale alla loro situazione di soggetti vulnerabili”.
Ne discende il diritto della vittima a partecipare attivamente al procedimento penale anche con l’aiuto di mezzi alternativi di definizione dei conflitti, nonché il diritto alla compensazione monetaria per il danno subito dal reato ed il diritto alla protezione dai rischi della c.d. “vittimizzazione secondaria”, ossia escludere il pericolo che il processo provochi un pregiudizio ulteriore sulla vittima, soprattutto sul piano psicologico e morale.
La Decisione in oggetto prevede, inoltre, che fin dal primo momento di contatto con le autorità preposte, lo Stato garantisca alla vittima l’accesso alle informazioni rilevanti, riguardanti anche l’esistenza di strutture di servizio ed assistenza che si possono ricevere; nonché la possibilità di sapere in che modo sporgere denuncia, quali sono le procedure successive alla presentazione della denuncia e qual è il suo ruolo in tale contesto; quali sono le condizioni per fruire dell’assistenza di un/una legale, del patrocinio gratuito e di qualsiasi altra forma, ed anche quelle per ottenere un risarcimento. Inoltre, se la vittima dovesse risiedere in uno stato diverso, deve essere messa al corrente dei meccanismi cui poter ricorrere per tutelare i propri interessi.
Va anche detto che lo Stato, durante lo svolgimento del processo, deve predisporre le misure necessarie affinchè la vittima possa essere sentita e possa fornire elementi probatori, procedendo però ad interrogarla solo per quanto necessario ai fini del processo; vanno ridotte anche le difficoltà di partecipazione e di comunicazione della vittima testimone o parte in causa e, qualora fosse necessario, assicurare alle vittime, specie alle più vulnerabili, la possibilità di rendere testimonianza in condizioni protette e diverse dalla pubblica audizione; infine lo Stato deve garantire che vengano evitati i contatti tra vittima ed autore del reato, predisponendo strutture apposite che permettano di non incontrare l’aggressore.
Tuttavia, nella Decisione citata manca una chiara ed univoca definizione del concetto di “vulnerabilità”, infatti, in alcuni paesi europei, tra cui l’Italia, la vulnerabilità della vittima viene individuata dal punto di vista soggettivo, con particolare riferimento a parametri quali l’età, il sesso, la fragilità fisica o psichica o patologica del soggetto offeso dal reato; in altri, tra cui Paesi Bassi e Spagna, vengono presi in considerazione criteri oggettivi quali il tipo di reato, le modalità della condotta posta in essere, la relazione tra la vittima e l’autore del reato, nonché i comportamenti volti a generare una situazione di fragilità della vittima; in altri ancora, tra cui la Germania, invece, la vulnerabilità della vittima viene considerata sia dal punto di vista soggettivo che dal punto di vista oggettivo.
Carmela Mazza
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