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No alla Violenza - Le nuove disposizioni contro il fenomeno del c.d. cyber bullismo (parte seconda)
La legge n.71 del 2017 introduce uno speciale rimedio a tutela della dignità della vittima di cyberbullismo: ciascun minore ultraquattordicenne che abbia subito atti di cyberbullismo (o un soggetto esercente responsabilità sullo stesso) può adire il titolare del trattamento o il gestore del sito internet o del social media, a sua scelta, al fine di ottenere “l’oscuramento, la rimozione o il blocco di qualsiasi altro dato personale del minore, diffuso nella rete internet”.
In caso di mancata risposta entro quarantotto ore o, qualora non sia stato possibile identificare detto soggetto, all’interessato è riconosciuto il diritto di rivolgere analoga richiesta al Garante per la protezione dei dati personali, il quale, sussistendone i presupposti, provvede al blocco.
Si tratta di un ulteriore strumento che l’ordinamento mette a disposizione di una categoria ristretta di soggetti ritenuti meritevoli di una protezione rafforzata, per metterli in condizione di tutelare in maniera più efficace la propria dignità ed i propri diritti, ove questi siano lesi da uno degli atti integranti la condotta rilevante ai fini della legge come “cyberbullismo”.
Così inquadrata, la procedura appare quindi tutto sommato giustificabile, pur tenendo presente che normalmente, questo tipo di procedura di rimozione di contenuti online, ove non impiegata per tutelare diritti titolati, documentabili e quindi dotati di un certo grado di oggettività, dovrebbe consentire un complesso bilanciamento fra l’interesse alla rimozione dei contenuti dell’interessato ed il diritto all’informazione del resto degli utenti della rete, in questo caso necessariamente demandata al titolare del trattamento dei dati e, solo in seconda battuta, al Garante per la protezione dei dati personali.
Permangono, in ogni caso, alcune perplessità rispetto alla reale efficacia di questo tipo di meccanismi di rimozione nel prevenire fenomeni di diffusione di dati personali potenzialmente lesivi per le vittime di cyberbullismo.
In primo luogo, il requisito che il contenuto sia identificato tramite il relativo URL rischia di rendere meno efficace l’intera procedura rispetto ad eventuali contenuti che vengano sì trasmessi per via telematica ma non siano identificabili tramite un URL: si pensi alle numerose applicazioni di messaggistica istantanea che possono essere utilizzate per diffondere anche a platee piuttosto ampie di utenti immagini, video, registrazioni audio.
Inoltre, una volta che un determinato contenuto è stato caricato su internet, per quanto breve sia stata la sua permanenza in rete, è stato a tutti gli effetti nella piena disponibilità di una platea indefinita e “infinitamente” grande di soggetti che hanno numerosi strumenti a disposizione per appropriarsene, copiarlo, trasformarlo, ritrasmetterlo magari in forma leggermente modificata.
Per questo motivo, imporre ad uno o più gestori di siti internet o di social media di rimuovere un singolo contenuto, di per sé, non offre alcuna garanzia rispetto al fatto che detto contenuto non venga riproposto un minuto dopo da altro sito o social media, con altro URL, rendendo del tutto vana l’intera procedura.
In conclusione, la scelta del legislatore di gestire una tematica tanto attuale quanto intrinsecamente complessa attraverso la predisposizione di un elaborato sistema di educazione al digitale e prevenzione a livello dei singoli istituti scolastici è sicuramente apprezzabile, ammesso però che tale sistema venga effettivamente reso funzionante nonostante la scarsità delle risorse allocate a tal fine.
Carmela Mazza
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