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No alla Violenza - Abuso dei mezzi di correzione o di disciplina (art. 571 c.p.) – seconda parte
Il reato di abuso dei mezzi di correzione o di disciplina è un reato proprio, in quanto può essere commesso solamente da persone titolari di un determinato potere correttivo o disciplinare nei confronti di un’altra persona.
L’esistenza di questo potere costituisce un presupposto del reato di cui si tratta, dal momento che questo rapporto di autorità o di affidamento deve già sussistere nel momento in cui viene commesso il fatto. Autorità che può derivare da un rapporto di famiglia, di istruzione, di educazione, di cura, di vigilanza, di custodia o di esercizio di una professione o di un’arte.
Inoltre è un reato è a forma libera che si consuma tramite l’abuso di un qualsivoglia mezzo di correzione e di disciplina, e non rappresenta un’ipotesi di reato abituale, essendo la reiterazione dell’abuso una semplice modalità di manifestazione del reato.
Da ciò deriva che, qualora il mezzo usato fosse per sua stessa natura illecito, come, ad esempio, le sevizie o le minacce, non si potrebbe configurare il delitto in esame, ma ci si troverebbe di fronte ad una fattispecie di reato contro la persona.
Il rapporto disciplinare può, peraltro, essere sia di diritto privato, come nel caso di quello derivante dall'esercizio della responsabilità genitoriale, sia di diritto pubblico, si pensi, ad esempio, a quello intercorrente tra il direttore di un carcere e le persone in esso detenute.
Nel caso in cui, però, il rapporto abbia la propria fonte nel diritto pubblico, l'art. 571 c.p. risulta applicabile soltanto se il fatto non integri un'altra fattispecie.
Per quanto riguarda il potere educativo e disciplinare in capo agli insegnanti, l'uso della violenza non può mai ritenersi né correttivo né educativo, per via del primato che l'ordinamento attribuisce alla dignità della persona, anche del minore, ormai soggetto titolare di diritti e non più, come si riteneva in passato, semplice oggetto di protezione.
Il reato di abuso dei mezzi di correzione si considera consumato nel momento in cui si realizzi l'evento tipico, rappresentato dall'insorgenza di un pericolo di malattia nel corpo o nella mente del dipendente, conseguentemente alla condotta criminosa dell'agente. Non si potrà, dunque, considerare perfezionato il delitto in esame, né qualora il pericolo di malattia non sorga come conseguenza della condotta tenuta dal soggetto attivo, né nel caso in cui il mezzo da lui impiegato non sia tale da determinare un pericolo di malattia. Non è, pertanto, configurabile il tentativo, poiché, se sorge il pericolo il reato è consumato, e se esso manca, il fatto non è punibile ex art. 571 c.p.
Carmela Mazza
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