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La violenza di genere ed il contagio da HIV
Un altro fenomeno che nella quasi totalità dei casi colpisce le donne, e che può ricondursi alla violenza di genere, è il contagio da HIV (virus da immunodeficienza umana), poiché trattasi di evento idoneo a cagionare una grave lesione psico-fisica anche all’interno delle relazioni affettive.
Va precisato che, nel nostro ordinamento, la condotta di chi consapevolmente accetta il rischio di trasmettere l’infezione da HIV ad un altro soggetto integra il reato di lesioni personali gravissime (art. 583, c.2, c.p.) in quanto questo virus è l’agente responsabile dell’AIDS, ossia la sindrome da immunodeficienza acquisita, che è una malattia non sanabile.
Tuttavia, perché il reato si configuri è necessario che il soggetto agente sia consapevole del proprio status e che sia a conoscenza del rischio che dalla propria condotta derivi la trasmissione del virus.
La giurisprudenza, ormai in maniera costante, ravvisa nei casi di contagio da HIV il dolo eventuale quale elemento psicologico del reato, in quanto l’agente accetta il rischio di trasmettere, quasi certamente, al proprio partner o alla propria partner, inconsapevole dello status di sieropositività dello stesso, il virus mediante rapporti sessuali non protetti.
Date le modalità “tipiche di trasmissione” (contagio a carattere determinato e singolare), la diffusione di questo virus è stata da sempre configurata come illecito contro la persona.
Tuttavia, quando il contagio è caratterizzato da molteplici condotte finalizzate alla trasmissione del virus dell’HIV ad una pluralità di vittime, può acquisire rilevanza ai fini della configurazione del reato di epidemia (art. 438 c.p.), dove per “epidemia” si intende una malattia infettiva e contagiosa, straordinariamente aggressiva, caratterizzata da una elevata ed incontrollabile capacità di diffusione.
Trattasi di fattispecie causalmente orientata, in cui l'azione incriminata consiste nella diffusione di germi patogeni, connotata dall'atteggiamento particolarmente fraudolento del diffusore.
La norma (art. 438 c.p.) richiede il dolo generico e quindi la volontà di diffondere germi patogeni, insieme alla consapevolezza della loro efficacia epidemica. Mentre appare sufficiente il mero dolo eventuale con riguardo al rischio di determinare l'epidemia.
Il danno-evento consiste, invece, nella concreta manifestazione, in un gran numero di persone, di una malattia ricollegabile alla condotta, unitamente al pericolo che la diffusione prosegua.
Gli elementi della fattispecie sono in sintesi la rapidità della diffusione, il contagio nei confronti di un notevole numero di persone e l'ampia estensione territoriale della malattia.
In tutti questi casi va, comunque, detto che la legge italiana tutela il diritto alla privacy del soggetto sieropositivo. Tuttavia la rivelazione dello “status di sieropositività” non può fungere da scriminante.
Carmela Mazza
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