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- Categoria: Terzo Settore
Giornata mondiale della felicità: vivere felicemente la Disabilità
Lo scorso 20 marzo è stata la "Giornata mondiale della felicità" e tra le diverse iniziative ha avuto luogo il progetto “Sentinelle di civiltà e felicità” che ha interessato diverse scuole italiane. Lo scopo del progetto è stato quello di promuovere una nuova cultura della disabilità dove si cerca di andare oltre ad essa. La Felicità è uno stato d’animo che nella vita tutti viviamo, ma la domanda che mi pongo è questa: “Una persona che vive una disabilità è felice? Può essere felice?
Dall’esterno di solito pensiamo che una persona che si trova in una condizione disabilità, o la sua famiglia, non ha nessun motivo per essere felice. Per alcune persone basta un niente per provare questa sensazione e per altre è molto più difficile trovare la felicità. L’unica ricetta affinché una persona con disabilità provi felicità sta nel fatto che deve accettare la propria disabilità cercando di viverla nei migliori dei modi. Quando si ha una disabilità, non bisogna piangersi a dosso ma affrontarla pur nei propri limiti. Avere un amico ci rende felici soprattutto quando ci ritroviamo in queste condizioni, l’amicizia non sembra così scontata o almeno quella sincera con la A maiuscola, quella che non ti giudica, quella che non ride di te ma con te, non ride per il fatto che parli male o per come cammini. I
l semplice fatto di compiere alcune azioni quotidiane può essere motivo di felicità. Una situazione che io stesso mi ritrovo a vivere ogni qual volta riesco a compiere un’azione che magari penso di non essere in grado di farlo. Lo scorso 3 dicembre, in occasione della Giornata Internazionale della disabilità, si è discusso di uno studio, condotto da una ricercatrice dell’Università Bocconi di Milano, Asya Bellia, in collaborazione con Lorenzo Corsini dell’Università di Pisa. Nell’affrontare il tema dell’accessibilità ambientale la ricercatrice ha affermato: ”Garantire l’accesso equo agli spazi pubblici e privati è fondamentale per la felicità e l’inclusione sociale delle persone con disabilità”.
Una barriera limita la libertà, e il fatto di non essere libero non rende felice. L’assenza di barriere ti permette l’inclusione in tutti i contesti sociali. A scuola, a lavoro e nella società, così come è stabilito dalla legge n. 104 del 5 febbraio del 1992, detta anche Legge-quadro per l'assistenza, l'integrazione sociale e i diritti delle persone handicap. Tutto questo rende felici, la possibilità di essere integrati nelle varie fasi della propria vita, nonostante si hanno delle difficoltà, stare con persone della propria età ci rende felici, se un bambino, nonostante le proprie difficoltà, viene integrato in un gruppo di altri bambini della propria età e con i quali può giocare, può divertirsi, può imparare e provare felicità; il semplice fatto di essere trattato come una persona normale porta ad essere felice, il non essere etichettato come una persona disabile rende felice. Lo stesso gioco per il bambino diventa motivo di felicità.
La libertà può essere motivo di felicità, una libertà di cui molto spesso a una persona con disabilità viene limitata o addirittura negata per le proprie condizioni. Pensiamo a una persona sulla sedia a rotelle che non si riesce a muoversi, come può essere felice? Ma anche una disabilità mentale può essere considerata una forma di prigione che rende infelici. Troppo spesso, chi è o si definisce “sano”, si cade in errore nell’affermare “loro non soffrono tanto non capiscono”, secondo me, però, non è proprio così anche loro provano sofferenza, anche se, non lo riescono a esprimere e la loro condizione li porta a non essere felici. Cercando per caso sul web qualcosa che mi potesse dare un ulteriore spunto sul tema della felicità mi ha colpito l’iniziativa “sentinelle di civiltà e felicità” portata avanti da alcune scuole con lo scopo di promuovere l'inclusione e la consapevolezza sulla disabilità e una nuova cultura della disabilità. Una società che promuove la cultura dell’inclusione per le persone con disabilità è una società giusta che si preoccupa non solo dello stato di salute dei suoi cittadini, ma anche del loro stato morale.
Mentre scrivo su questa iniziativa, mi pongo una domanda, solitamente quando si chiede a una persona come si sente ci riferiamo alla stato di salute, è venuto mai in mente a qualcuno di chiede all’altro se è felice? Mi viene in mente un film di Aldo Giovanni e Giacomo, “Chiedimi se sono felice”; nella storia nel film non assume un significato così profondo ma in realtà lo ha. Siamo abituati a chiedere "come stai? Che cosa hai fatto oggi?" ma, quasi mai chiediamo all’altro se è felice, sembrerebbe una domanda stupida ma in realtà non lo è, non è una domanda del tutto fuori luogo, significa che ci interessiamo di quella persona del suo stato di salute fisico e morale. Normalmente per stato di salute di una persona ci si riferisce al suo stato fisico e non a come si sente nell’animo, se c’è qualcosa che lo preoccupa, o che lo rende triste.
Lo scrittore Edward de Bono, considerato uno dei maggiori esponenti del pensiero creativo, nel suo libro ”Sei Cappelli per Pensare” del 1985, dove descrive un’efficace tecnica di problem solving, un sistema per ampliare il numero di prospettive utili per risolvere un problema attraverso sei cappelli di colori diversi tra questi, quello di colore giallo che è il cappello delle lodi e del pensiero ottimista che si focalizza sulle ragioni per cui un’idea funzionerà e in che modo potrà portare benefici. Questo cappello può strappare buone notizie da una situazione apparentemente disperata, come può essere la disabilità, ma non per questo non ci possono essere momenti di felicità per chi vive in questa condizione, bisogna solamente trovare i modi giusti per poterla affrontarla sapendo andare oltre la propria disabilità e provare ad essere felici.
Andrea Fornaia
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