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- Categoria: Archeologia e Culture Antiche
Il tempio greco, la “casa” della divinità
La Primavera del Botticelli della Galleria degli Uffizi di Firenze è uno dei dipinti più iconici di tutti i tempi, di quelli che appartengono al patrimonio di tutti noi, qualunque sia la nostra provenienza, il nostro livello culturale, il nostro interesse per l’arte. La quantità di significati mitologici, politici, filosofici nascosti dietro alle immagini del dipinto è talmente vasta da costituire una foresta di simboli immensa. Ma nella sua essenza è una formidabile celebrazione della natura che esplode in tutta la sua magnificenza nella stagione della rinascita, della fertilità, dell’amore generativo, una rappresentazione popolata di figure mitologiche sullo sfondo di un meraviglioso, fitto giardino di aranci e di fiori spontanei. E al centro della composizione, in mezzo a grazie, ninfe, dei, spicca una affascinante Venere, dea classica dell’amore e della bellezza, collocata al centro del dipinto come un’immagine sacra da ammirare e adorare. La scena si svolge in un luogo aperto ma separato dal resto del mondo, una sorta di spazio sacro concluso dove nulla o quasi può turbare quella serenità eterna. Ninfe e dei stanno in primo piano, mentre lei, Venere, rimane indietro e sembra osservare tutti con una sorta di superiore distacco. Intorno a lei gli alberi si distanziano e richiudono in alto i loro rami come a incorniciare il capo della dea.
È proprio in questo modo che gli antichi, soprattutto i Greci, concepivano l’idea del tempio. Uno spazio concluso ed escluso ai profani nel quale tuttavia la divinità poteva manifestarsi, godere delle offerte degli uomini e concedere loro i suoi benefici. Nessuno infatti, ad eccezione dei sacerdoti, era ammesso all’interno del tempio perché le cerimonie religiose si svolgevano all’esterno, nei pressi dell’altare che stava di fronte, e solo dall’esterno, a volte, si poteva intravedere la statua della divinità che era posta nel luogo più interno, la cella. È per questa fugace visione che i Greci svilupparono la loro abilità nella scultura al punto da dedicare agli dei opere eccellenti come la famosa Athena Parthenos di Fidia, di cui non ci rimane altro, purtroppo, che descrizioni e copie per nulla paragonabili all’originale.
Ma il concetto di tempio non nacque come spazio architettonicamente progettato e costruito, bensì come tèmenos, spazio “ritagliato” consacrato al dio. In origine doveva trattarsi semplicemente di un luogo di particolare bellezza dove zampillava una limpida fonte, splendeva un grazioso specchio d’acqua o sorgeva una tenebrosa caverna; un luogo così suggestivo da indurre gli esseri umani a sentire la presenza divina e addirittura ad immaginare di vederla in carne e ossa. E quale migliore onore da concedere alla divinità che costruire una “casa” speciale e dedicata ad esso, ma pur sempre una abitazione? Ancora nel IX sec. a.C. in Grecia i “templi” erano semplici capanne in pietra, argilla e paglia che non si distinguevano nemmeno dalle comuni abitazioni. Solo intorno alla prima metà dell’VIII secolo, non in Grecia ma in Asia Minore – la parte costiera dell’attuale Turchia, dove sorgevano colonie greche di antica fondazione – si cominciarono a innalzare dei semplici edifici in legno e pietra di cui rimangono pochissime tracce; possiamo però immaginarne l’aspetto grazie ad alcuni modellini in terracotta dedicati come offerte dei credenti nei santuari. Si tratta di veri e propri templi in miniatura caratterizzati da un vano rettangolare, con ingresso sul lato breve, in alcuni casi con un tetto a spioventi sorretto da due pilastri di sostegno sulla fronte dell’edificio davanti all’ingresso, anticipazione delle future colonne. Alcuni esemplari significativi sono stati rinvenuti anche in Sicilia: famoso quello del VI secolo a.C. proveniente dal sito indigeno di Sabucina, vicino Caltanissetta, conservato nel locale Museo Archeologico. Il tempietto rappresenta le caratteristiche essenziali dell’edificio sacro in una sorta di sintesi artistica che non manca di far riferimento alla decorazione del frontone – qui riassunta con due teste abbozzate rappresentanti forse i Dioscuri – e persino i decori acroteriali, due figure di cavalieri modellate alla sommità del tetto.
Solo dal VII sec. a.C., dunque, si iniziò a monumentalizzare il tempio, circondando la cella con pilastri lignei che verranno sostituiti nel tempo da colonne scanalate in pietra e sormontate da capitelli. È allora che l’edificio di culto si trasforma in quella “foresta di colonne” che caratterizza la maggior parte dei templi attualmente conservati, di cui la Primavera botticelliana sembra essere una suggestione: probabilmente infatti anche la peristasi, ovvero lo spazio occupato dalle colonne, nacque come trasposizione artistica di elementi naturali, alberi per l’appunto, con tanto di venature del legno rappresentate simbolicamente dalle scanalature e chiome che si cristallizzano nei capitelli. Ma questo è solo l’inizio di una storia lunga e complessa che avremo modo di raccontare prossimamente.
Claudia Cacciato
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