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- Categoria: Archeologia e Culture Antiche
Archeologia e Culture Antiche - Quando i Romani “investivano” sulla riqualificazione delle aree interne. Il caso del monumento di “Vallone Bagni” di Centuripe
Non lontano dai luoghi turistici più famosi della Sicilia centro-orientale, la città di Centuripe è un vero e proprio scrigno di tesori archeologici. Posta al confine tra le province di Enna e Catania, vicinissima alle propaggini dell’Etna e affacciata sul versante sud-occidentale del vulcano con una spettacolare terrazza naturale, la cittadina offre anche una vista suggestiva del Parco dei monti Nebrodi da una parte, dei monti Erei dall’altra, e della fertile Piana di Catania verso sud. E già per questo merita una visita.
Ma se si indaga nel suo passato, la cosa si fa davvero interessante. Alcune parti dell’abitato greco-ellenistico, infatti, sono state portate alla luce durante lavori di sistemazione non molti anni orsono e hanno permesso di individuare quartieri produttivi con botteghe e officine artigiane che testimoniano una vivace attività economica. La città inoltre, dominando dall’alto la fertile piana di Catania aveva una spiccata vocazione agricola e pare che i suoi abitanti si dedicassero per parte dell’anno ai lavori agricoli e per il resto alle attività artigianali. Ma a un certo punto della storia, la Sicilia fu investita dall’inarrestabile avanzata dei Romani e Centuripe, a detta delle fonti, si dimostrò meno ostile di altre città e per questo dopo le guerre civili fu premiata con l’acquisizione del rango di urbs latinae condicionis non stipendiaria, una condizione molto favorevole per una città di provincia.
Anzi, a partire dal principato dell’imperatore Augusto, i romani la sottoposero a un vero e proprio progetto di riqualificazione architettonica che interessò città come Catania, Taormina, Siracusa, Termini Imerese e, appunto, Centuripe, e le rese splendide grazie a imponenti opere pubbliche: anfiteatri, fori, terme, teatri vennero innalzati con le innovative tecniche romane che prevedevano l’uso del cemento e dei mattoni. Lo scopo era chiaro: affermare in maniera pacifica ma inequivocabile il potere romano nell’isola, conquistando la fiducia dei siciliani che ancora conservavano orgogliosamente le loro tradizioni greche, anche nell’architettura. Di quell’epoca ci restano parecchie testimonianze. L’edificio degli Augustali è una di queste, un luogo di amministrazione del potere o forse un edificio sacro consacrato al culto degli imperatori che ha restituito frammenti di circa dieci grandiose statue di imperatori e dei loro familiari, oggi conservati parte nel museo archeologico di Siracusa e parte nel locale museo archeologico di Centuripe.
Ma bisogna scendere a valle del pianoro, lungo il cosiddetto “Vallone Bagni” per trovare quanto rimane di un edificio in mattoni del II-III secolo d.C., che fortunatamente è stato di recente sottoposto a interventi di restauro ma che meriterebbe maggiore considerazione. L’edificio è una fronte scenografica costituita da sei nicchie poste in successione, alcune con volta a botte altre absidate, cinque molto alte e una più piccola. Sia il toponimo “Bagni” che i resti di fori per tubature e di malta idraulica in alcuni ambienti vicini alle nicchie ne suggeriscono un uso legato all’acqua. Il rudere affascinò i grandi viaggiatori del XVIII e XIX secolo, come l’Houel che lo ritrasse nel suo Voyage pittoresque des Isles de Sicile, de Malte et de Lipari . Alcuni archeologi come il grande studioso delle antichità siciliane Guido Libertini lo interpretarono come ciò che restava di un edificio termale romano, con le absidi che individuavano le parti finali dei caldaria, tepidaria, frigidaria. Stando alle sue ipotesi, il resto degli ambienti era crollato per l’incuria e l’abbandono nel fondo del burrone sul quale sorge il monumento e dove scorre un corso d’acqua. Ma questa spiegazione non è stata supportata dalle indagini successive. È probabile, invece, che le nicchie in successione corrispondessero a una costruzione molto più scenografica, che tra l’altro era abbellita da affreschi colorati con raffinate decorazioni grafiche e doveva risultare molto scenografica, posizionata com’era all’ingresso della città, quasi come un biglietto da visita per i viaggiatori che giungevano da lontano e si apprestavano alla salita. Bisogna sapere infatti che Centuripe sorgeva in un punto di passaggio importante di una delle strade principali dell’isola, la via di collegamento settentrionale che andava da Thermae Himerae, oggi Termini Imerese, a Catania, l’odierna Catania: insomma una sorta di A19 dell’antichità. E cosa poteva essere più utile a un viaggiatore che volesse ristorarsi dal lungo viaggio che dissetarsi a una fontana e allo stesso tempo godersi un meraviglioso spettacolo? Ecco, era questo probabilmente il nostro monumento, una grande fontana, un ninfeo come lo chiamavano i romani, perché alle fonti, dicevano, si abbeveravano anche le ninfe. I romani apprezzavano molto questo tipo di costruzioni, con le quali sapevano realizzare giochi d’acqua e che abbellivano con statue, vasche di varie forme, colonne, mosaici. Ne costruirono molti in tutto l’impero e anche in Sicilia. Erano grandiosi nel concepire opere che meravigliassero per la tecnica e per la bellezza. E credevano enormemente nelle potenzialità di questa meravigliosa isola in mezzo al Mediterraneo. Loro, ci credevano.
Claudia Cacciato
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