- Leonforte (EN) – Firmati i contratti a tempo indeterminato per il personale ASU del Comune
- Catania - La città si prepara a festeggiare sant'Agata: istituite sei zone rosse
- Secondo incontro online su "I Gioielli siciliani tra Storia e Arte" di BCsicilia
- Catania - Ripristino sicurezza e supporto agli sfollati dopo l'esplosione a San Giovanni Galermo
- Roma - Codici interviene per tutelare i passeggeri Ryanair penalizzati dal check-in online
- Antonio Raciti vince il concorso fotografico “Vite, tra Vino e Vulcano” con lo scatto “Danza antica”
- Milano - Maltempo: Situazione difficile in Liguria, allerta rossa; neve copiosa in Montagna
- Dettagli
- Categoria: Cultura Arte Beni Culturali
Il Nettuno di Montorsoli: una fontana d’ascendenza michelangiolesca a Messina
Nel corso del Cinquecento la scena artistica della città di Messina fu più volte attraversata da venti di rinnovamento grazie agli apporti di artisti che, arrivati dalla Penisola, diffusero le idee di una cultura figurativa che maturava fuori di Sicilia. È il caso del lombardo Cesare da Sesto e del reduce Girolamo Alibrandi a inizio secolo, di Polidoro da Caravaggio nel 1528 e del frate Giovan Angelo Montorsoli nel 1547.
La presenza di quest’ultimo nella città dello Stretto si deve però al Senato messinese che, alla ricerca di un maestro per la realizzazione della Fontana di Orione in piazza Duomo, finì per chiamare proprio il Montorsoli: apprezzato e nominato capomastro della città nel 1550, a partire da quella prima impresa l’artista rimase a Messina per dieci anni. La scelta del Senato ricadde non a caso su un artista che poteva vantare un’esperienza rispettabilissima, dal momento che si era formato col fiesolano Andrea Ferrucci, aveva lavorato in varie città come Genova e Napoli, ma soprattutto aveva collaborato più di una volta con Michelangelo a Firenze e a Roma. È il pittore e biografo Giorgio Vasari, nelle Vite del 1568, a raccontarci di come Michelangelo in persona fosse rimasto colpito dalle doti del giovane scultore e come più tardi, «ricordatosi il Buonarroto di fra’ Giovann’Agnolo, lo propose al Papa» per restaurare alcune delle più note sculture del cortile del Belvedere come il Laocoonte e l’Apollo del Belvedere.
Le tracce di tutte queste esperienze che si nutrono dei fermenti della Maniera, dall’arte di Michelangelo allo studio e alla reinterpretazione dell’antico, emergeranno chiaramente in tutta la produzione messinese del Montorsoli. Ma forse il caso più eloquente può essere individuato nella Fontana del Nettuno, «la quale riuscì anch’essa bella e ricchissima» (Vasari 1568), una delle ultime opere che lo scultore toscano eseguirà in città tra il 1553 e il 1557.
Montorsoli concepisce una fontana da collocare al centro del porto (spostata nel 1934 in piazza Unità d’Italia), a pianta ottagonale ma senza le classiche vasche sovrapposte presenti ad esempio nella Fontana di Orione. Qui piuttosto sceglie di puntare sul gigantismo di michelangiolesca memoria, scolpendo e collocando il dio dei mari Nettuno in posizione centrale e rialzata e le figure dei mostri dello Stretto Scilla e Cariddi ai lati, incatenati e soggiogati dall’egemone divinità del mare: la fontana, le cui statue del Nettuno e di Scilla sono oggi conservate al Museo regionale di Messina e sostituite dalle copie ottocentesche di Gregorio Zappalà e di Letterio Subba, doveva essere una chiara celebrazione della potenza di Messina, forte dei privilegi ricevuti dall’imperatore Carlo V.
Una celebrazione messa a punto, come si diceva, con un linguaggio raffinato sviluppatosi in Italia, tra Roma e Firenze, grazie soprattutto a Michelangelo e agli eruditi umanisti del suo tempo che non si limitarono solo a imitare l’antico, piuttosto a capirne fino in fondo il funzionamento e quindi a interpretarlo modernamente. Ecco, dunque, che la fontana di Montorsoli rievoca da un lato, nelle posizioni e nel tono drammatico dei personaggi mitologici, i modelli antichi che egli stesso aveva restaurato in Vaticano, e dall’altro le eroiche e imponenti forme plastiche dell’insuperato Michelangelo. Nei corpi nerboruti di Scilla e Cariddi infatti, come già nelle attorte figure sdraiate della Fontana di Orione, nonché nell’elegante gusto decorativo che oscilla tra il ricercato e il grottesco, Montorsoli dimostra di avere a quelle date ancora fresco il ricordo delle fiorentine Tombe medicee di Michelangelo nella Sagrestia Nuova di san Lorenzo, per le quali aveva peraltro realizzato un San Cosma.
«La quale opera finita, similmente piacque molto a’ Messinesi». Così Giorgio Vasari esaurisce l’argomento della Fontana di Nettuno a Messina e non stentiamo a credergli effettivamente, proprio oggi che riusciamo ad apprezzare un artista manierista, così dichiaratamente michelangiolesco, grazie alla rivalutazione che ne ha fatto la critica del Novecento.
Emiliano Riccobono