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No alla Violenza - La violenza come fenomeno culturale e nel linguaggio
La visione della donna come soggetto debole nasce dal fatto che per secoli è stata rappresentata come naturalmente subordinata all’uomo, derivandone una posizione di supremazia del genere maschile sul genere femminile. Occorre abbandonare tale modello culturale per comprendere che la differenza non è sinonimo di gerarchia, ma espressione della assoluta parità tra i due sessi nella loro totalità umana. “Maschio” e “Femmina”, infatti, non sono etichette che denotano comportamenti predefiniti: si può essere uomini e donne in modo libero e rispettoso di sé e degli altri, senza costringere nessuno dentro un modello rigido di comportamenti e di atteggiamenti.
Una particolare forma di violenza, definita “forma di violenza simbolica” è, infatti, l’uso della linguaggio al maschile. L’omissione del femminile è causa e conseguenza del vedere l’umanità come quasi esclusivamente maschile. Allo stesso modo, il fatto che potere e autorità, siano essi politici, economici o culturali, siano visti come principalmente maschili è motivo e conseguenza della scarsa presenza femminile nelle stanze del potere. Questo modo di parlare in realtà “maschilizza” il linguaggio, sminuendo il genere femminile fino a farlo scomparire.
Ciò avviene per i titoli che indicano ruoli istituzionali o professioni ritenute prestigiose anche se sono riferite a donne, sostenendo che si tratta di un uso “neutro” del linguaggio (es. prefetto anziché prefetta, sindaco anziché sindaca, assessore e non assessora, questore e non questora, maresciallo e non marescialla, avvocato anziché avvocata, architetto e non architetta, ecc).
Pertanto alle donne, che sono state troppo a lungo invisibili, va restituita la visibilità esplicitando il femminile, e volgendo al femminile i termini che si riferiscono a professioni, ruoli e funzioni.
Ciò contribuirà, inoltre, a contrastare la discriminazione tra i generi nonché alla graduale sparizione degli stereotipi, che vedono le donne addette ai soli mestieri di cura (casalinga, mamma, maestra, infermiera, ecc). Compito che spetterà, innanzitutto alla lingua, che dovrà abbracciare la differenza femminile, poi all’informazione in tutte le sue forme, dal mercato editoriale, al giornalismo, ai social media e all’istruzione.
Il linguaggio, perciò, costituisce uno strumento fondamentale per la rappresentazione della donna, avendo un’influenza fondamentale nella formazione e perpetrazione degli stereotipi di genere.
La violenza nel linguaggio, pur non essendo visibile come la violenza fisica, è ben radicata e/o legittimata socialmente. Frasi offensive e senza senso come "Brava, sei una donna con le palle", "Chissà che ha fatto quella per lavorare", "Anche lei però, se va in giro vestita così", "Dovresti essere contenta che ti guardano", "Lascia stare sono cose da maschi", "Te la sei cercata", sono ormai tipiche espressioni del linguaggio comune.
Oltre che per la differenza tra uomo e donna, ciò vale anche per altri fattori di discriminazione quali la disabilità, l’etnia, la religione, l’orientamento sessuale, le convinzioni personali.
Molto è stato detto, negli ultimi anni, sul linguaggio inclusivo, e molti passi sono stati fatti, ma tanti ancora ce ne sono da fare...
Carmela Mazza
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