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Perché rinunciare al catastrofico progetto di costruire il Ponte sullo Stretto di Messina!
Rinunciamo al catastrofico progetto di costruire il Ponte sullo Stretto di Messina. Con le risorse previste – oltre 14 miliardi di euro e chissà quante decine in più a cose fatte, nel solco della tradizione italiana degli aumenti in corso d’opera – invece modernizziamo e facciamo svoltare in modo epocale il trasporto ferroviario nel tratto di mare tra Messina e Villa San Giovanni. Anche per i treni ad Alta Velocità. Grazie ad una nuova generazione di traghetti. Si consentirà così a noi siciliani di concretizzare un sogno: viaggiare con l’Alta Velocità da Palermo, Catania e Messina ad ogni stazione non solo italiana ma dell’intero continente europeo. Liberandoci dal ricatto delle compagnie aeree e dal famigerato “algoritmo” che fa aumentare i costi dei voli nei periodi di maggiore richiesta. E, oltre a traghetti di concezione ben più innovativa rispetto a quelli in servizio, con le risorse disponibili dalla mancata realizzazione del Ponte costruiamo dissalatori in Sicilia e Calabria. Senza perdere un minuto. Dissalatori di cui avremo sempre più disperatamente bisogno.
Rimangono risorse disponibili dal conteggio? C’è da indennizzare i mancati costruttori del Ponte, orfani di dividendi lucrosi (esistevano già delle sentenze al riguardo e in un modo o nell’altro vanno eseguite). Se per caso qualche altro miliardo residua dalla contabilità, può sempre essere destinato a raddrizzare la nuova sanità modello americano – quella del “ti puoi curare solo se hai soldi, altrimenti puoi anche morire” - che ha soppiantato la sanità pubblica in Italia. Una sanità pubblica che era un vanto per il nostro paese assieme a poche altre nel mondo, come ad esempio la sanità inglese. Formiamo medici, tanti nuovi medici (abolendo i test d’ingresso alla facoltà di Medicina) e compriamo attrezzature, tante nuove attrezzature, di cui abbisognano i presidi sanitari delle nostre parti sempre più sguarniti di personale e strumenti.
Si è già superato il punto di non ritorno per questa “Operazione rinsavimento”? Crediamo di no. Speriamo di no. Fermiamoci. Non abbiamo bisogno dei costosi giocattoli e dei balocchi per il paese dei balocchi di Matteo Salvini.
Valutiamo i rischi del Ponte
Il recente crollo del ponte di Baltimora, il 27 marzo, a causa dell’impatto di una gigantesca nave portacontainer fuori controllo su uno dei piloni conferma quanto rischiosi possano essere i ponti. Noi italiani ne sappiamo qualcosa: il crollo del Morandi di Genova il 14 agosto 2018 resta nella memoria di tutti. Lungi dall’essere ammoniti da catastrofi del genere cosa facciamo? Rilanciamo la “sfida” del Ponte sullo Stretto. Un manufatto di cui nessuno avverte l’esigenza tranne l’attuale ministro delle Infrastrutture, la “Società Stretto di Messina” e il colosso italiano delle costruzioni, il “Webuild Group spa”, la ex “Salini Impregilo”, designato – anzi predestinato – a realizzarlo. Sempre che i lavori giungano a conclusione.
Con suicida determinazione corriamo verso un disastro annunciato che piegherà definitivamente la nostra isola: la realizzazione di “questo” Ponte sullo Stretto.
Periodicamente i governi nazionali, ai quali la Regione si accoda, approvano scelte che disastrano la Sicilia. È accaduto a partire dagli inizi degli anni ’50 con la decisione di portare l’industria petrolchimica con i suoi sconvolgenti effetti sull’ambiente e sulla salute di centinaia di migliaia di siciliani in tre poli territoriali della nostra regione (Siracusa, Gela, Area del Mela). Si è ripetuta questa penalizzazione dell’isola nel 1981 con la decisione di installare i missili americani a medio raggio a testata nucleare nella base aeroportuale di Comiso. Si persevera adesso con la scriteriata scelta di avviare a partire da questo 2024 le fasi preliminari di realizzazione di un manufatto – il Ponte – che costituisce un salto nel buio sul piano tecnico. Comporterà sradicamento e danni per migliaia di cittadini dell’area messinese e calabrese. Avrà effetti devastanti sulle finanze nazionali. Ha già sottratto ingentissime risorse ad altre destinazioni nel bilancio regionale siciliano. Tutto questo per andare dietro alle scelte del Governo in carica e in particolare del ministro delle Infrastrutture in carica. Non rendiamoci complici di questo disastro annunciato. Fermiamolo finchè siamo in tempo e, come proponiamo, utilizziamo le risorse finanziarie che gli sono state destinate per ben più vere ed impellenti necessità.
Ormai si evince con piena contezza - anzi più correttamente è agli atti - il percorso adottato. Innanzitutto la determinazione del Ministero delle Infrastrutture nei suoi livelli a) politico-amministrativo, b) burocratico, c) consulenziale e di expertise di procedere in modo che potrebbe configurarsi predefinito al ripristino della soppressa Società costituita per la realizzazione del Ponte sullo Stretto di Messina. Secondo step: il riaffido della fase realizzativa al potente gruppo multinazionale italiano “WeBuild”, attivo in oltre cinquanta paesi, che opera nel settore delle costruzioni e dell’ingegneria civile il quale, bloccato, aveva portato a termine azioni di rivalsa con richieste di risarcimenti ingenti ai danni dello Stato. Terzo step: il coronamento di tale strategia appare completo e conseguito con accelerazione di atti normativi e amministrativi che la sostanziano e finanziano, in particolare a far data dalla formazione del Governo in carica.
Siamo al cospetto di una (non altrimenti definibile) preordinata, ostinata strategia di recupero di un progetto più che datato, oneroso, di impressionante impatto ambientale. Non solo tecnicamente in termini di gittata con un carico insostenibile a campata unica ma, nei suoi innesti in terraferma, sconquassante per decine di migliaia di residenti nelle due aree costiere. I quali dovranno convivere con megastrutture a ridosso delle loro case o “sopra” le loro case oppure con l’alternativa di abbandonare le loro abitazioni con modalità ora necessitate ora coattive.
L’allineamento a tale strategia di riesumazione progettuale ha fatto sì che non solo non si sia dato spazio a proposte alternative – di certo meno datate e non facenti perno su due piloni di 399 metri di altezza (da notare la presa in giro di indicare 399 metri e non 400 metri come se si trattasse di prezzi di scarpe o di cartelli dei prezzi al supermercato! – ma che non si sia posta nella giusta evidenza una considerazione essenziale, prioritaria su ogni altra: una realistica valutazione del rischio. A cominciare dalla resistenza del manufatto a reggere il peso insostenibile del doppio binario ferroviario e di quattro corsie veicolari con conseguente transito concomitante di treni, veicoli pesanti, tir, automobili che grava come carico sull’infrastruttura. Passando poi per la valutazione di situazioni di emergenza sempre possibili sul Ponte per incidenti, guasti, blocchi di vettori e veicoli in transito. Passando ancora ai rischi derivanti da cause geologiche, terremoti così come venti e cicloni di particolare violenza sempre più ricorrenti nell’area del Mediterraneo. Per arrivare infine – stante il costante, drammatico peggioramento del clima geopolitico in Europa e nel mondo – alla individuazione del Ponte come invitante bersaglio di attacchi sia terroristici che operati con missili, bombardamenti e droni da parte di potenze nemiche.
Insomma, il ponte “s’aveva necessariamente da fare”. Ma, in termini di gravità della situazione, non si può non richiamare l’attenzione degli organi di governo e politici nazionali e regionali, degli esperti, dei media, dell’opinione pubblica sul tema della valutazione del rischio per l’attraversamento stabile dello Stretto. Vanno infatti prevenute e scongiurate le conseguenze catastrofiche, epocali, in termini di vittime e di oneri per la finanza pubblica (o piuttosto per l’economia nazionale nella sua interezza) che potrebbero prodursi con una opera pubblica di tale portata collassata o comunque andata distrutta oppure candidata a divenire la più colossale incompiuta al mondo.
A proposito di quest’ultima eventualità, con le procedure messe in atto dal ministro delle Infrastrutture e approvate dal Consiglio dei Ministri c’è tutta la possibilità di incamminarsi verso uno scenario in qualche modo “classico”, sperimentato per molte costruzioni di opere pubbliche, specie nel Mezzogiorno ma anche in regioni del Centro e del Nord Italia: inizio dei lavori con posa della prima pietra in pompa magna, riscossione immediata dell'anticipazione d'opera pari al 30 per cento dell'importo a base d'asta da parte dell'impresa (anche senza avere eseguito un euro di lavoro), sospensione dei lavori per "qualche imprevisto imprevedibile". Sono elevatissimi i rischi di una ennesima – e stavolta colossale – opera pubblica incompiuta. Con effetti finanziari, economici, ambientali, sociali incalcolabili sul territorio e per il bilancio dello Stato. In alternativa, nella migliore delle ipotesi, si potrebbe persino ultimare l’opera che resterebbe però inutilizzabile per sopraggiunti problemi tecnici “non valutabili in fase di progettazione”, secondo la formula che si adotta in casi del genere. Ad esempio riguardanti la cruciale questione della valutazione dei rischi e della tenuta del Ponte per reggere il doppio schiacciante carico stradale e ferroviario. In parole ancora più esplicite il rischio implosione della struttura.
Aspetti tecnici a cui il progetto del Ponte non fornisce risposte rassicuranti
Da autorevolissimi esperti di ponti sono stati ampiamente messi in dubbio numerosi e puntuali aspetti tecnici a cui il progetto non dà risposte dovute e rassicuranti. È il caso delle vibrazioni, dell’ignota risposta della struttura alle accelerazioni dei treni che lo percorrono con il loro peso di centinaia di tonnellate in movimento. Mancano risposte tranquillizzanti a proposito di vibrazioni torsionali e verticali, di coefficienti di sicurezza, di slittamento e ribaltamento, di rigidezza torsionale, di problemi aerodinamici, di barriere frangivento, di manutenzione, di resistenza delle due torri. L’elenco potrebbe continuare. A quale disastro annunciato stiamo andando incontro? Fermiamoci, analizziamo, approfondiamo. Una riflessione si impone e noi siciliani dobbiamo essere, come i calabresi, i primi ad invocarla per evidenti motivi di localizzazione del manufatto.
L’Alta Velocità? Può arrivare anche in Sicilia. Con traghetti di nuova generazione
Alcuni anni fa, nel 2021, una società di ingegneria di Catania, la “Lab.Inntech” - nel quadro di un complessivo progetto integrato-modulare per l’attraversamento dello Stretto - propose uno specifico modulo riguardante il potenziamento e l’ammodernamento del cosiddetto “collegamento dinamico”: in parole semplici per noi non tecnici una nuova generazione di traghetti. Molto più lunghi e più veloci degli attuali. In grado di ospitare nella loro pancia un treno ad Alta Velocità intero, senza bisogno di scomporre e ricomporre le carrozze. Il tempo di entrare dentro il traghetto, attraversare lo Stretto alla ragguardevole velocità che raggiungono gli aliscafi, attraccare e fare ripartire il convoglio. Niente avanti e indietro, niente ricomposizione delle carrozze, niente minuti o piuttosto ore che si perdono nelle manovre. Modalità di trasporto innovative a parte, anche l’energia per la movimentazione dei supertraghetti sa di futuro.
Conosciamo meglio allora i dettagli di questa progettualità “made in Sicily”.
Il “collegamento dinamico” è caratterizzato da una proposta progettuale innovativa, di contenuto impatto finanziario, energetico, ambientale. E privilegiato da modalità e tempi realizzativi piuttosto ravvicinati rispetto alla costosissima soluzione realizzativa - proiettata per il suo completamento in un indefinito arco temporale - che si è caparbiamente e illogicamente inteso ripristinare. Ecco le sue modalità. Sistema di traghettamento ferroviario mediante impianto a fune traente con coppia di traghetti dedicati a propulsione elettrica andirivieni tra le stazioni di Messina e Villa San Giovanni. In alternativa alle strutture mega-impattanti – tunnel o ponte a campata unica o a più campate – nonché alle inquinanti navi traghetto attualmente in esercizio, per l’attraversamento dello Stretto si propone un sistema “smart” che utilizza una coppia di traghetti dedicati a propulsione elettrica su percorso obbligato dalla stazione FS di Messina a quella di Villa San Giovanni e ritorno. Una soluzione alla continuità della rete ferroviaria Alta Velocità/Alta Capacità (AV/AC) tra la Sicilia e la Calabria. I traghetti sono dimensionati per imbarcare il treno per l’intera sua lunghezza direttamente dal molo: traghetti di lunghezza 160 metri, treno con due motrici e quattro carrozze di lunghezza 148 metri. Senza le operazioni di sganciamento delle carrozze il tempo di attraversamento si riduce a circa 15 minuti ossia quello relativo alla navigazione tra le due sponde.
Il sistema prevede la costruzione di un impianto subacqueo a fune trainante la coppia di traghetti unitamente a un cavo coassiale continuo in tensione che ne alimenta i motori elettrici e le batterie in numero limitato per non gravare lo scafo. La fune viene movimentata nelle due direzioni – andirivieni – da due pulegge orizzontali sommerse nei moli, con velocità omogenea a quella dei traghetti in modo da evitare la sollecitazione di trazione della stessa. Il sistema, grazie alla fune traente, consente di contrastare le correnti e di mantenere la stabilità di navigazione del traghetto ad una velocità di crociera di 20 nodi, paragonabile a quella degli aliscafi, non raggiungibile da traghetti convenzionali a semplice propulsione.
Abbiamo bisogno di dissalatori, non del Ponte sullo Stretto
Concludiamo con un approfondimento sulla destinazione alternativa di parte dei faraonici importi del Ponte – alla cui utilità sempre meno soggetti credono, probabilmente persino all’interno del governo – alla realizzazione di dissalatori. Nel Meridione siamo condannati alla siccità, alla aridità, alla desertificazione. Da noi un maggio insolitamente piovoso ha salvato l’accumulo delle acque nel 2023. L’inverno 2023-2024 è stato asfittico di piogge in Sicilia. È questa l’emergenza delle emergenze. Tutto il resto viene dopo. Senza acqua non solo non si produce cibo ma non si vive, non si può vivere. Quest’inverno per la prima volta da oltre trenta anni sui rilievi della Sicilia, Etna a parte, praticamente non si è visto un fiocco di neve. Dobbiamo stoccare quanta più acqua, comunque e dovunque, per gli usi civili, agricoli, industriali. Ma se piove pochissimo e non nevica falde, sorgenti, dighe e serbatori restano vuoti. Con le alte temperature anche in inverno l’acqua evapora riducendo i laghi a poco più di pozzanghere fangose. Allora non esistono alternative ai dissalatori.
“I dissalatori presenti oggi in Italia, come in Sardegna, Sicilia, Lazio e Toscana, sono soprattutto attivi in ambito industriale e con una capacità media di 2mila metri cubi al giorno, contro i 5 milioni della Spagna.
Grazie alle nuove tecnologie di filtraggio, con l’osmosi inversa di nuova generazione, si abbasseranno i costi, si risparmierà energia e si ridurranno gli scarti che potranno essere riutilizzati per uso industriale. La massificazione nell’uso di questa tecnologia permetterà di accedere a risorse idriche pressoché illimitate”. (Lucia Massi “Combattere la siccità: quanto costa desalinizzare l’acqua del mare” in “BuoneNotizie.it”, 12 agosto 2023)
Quindi non abbiamo alternative, è una scelta obbligata: realizzare quanti più dissalatori. Una volta fortemente energivori e molto costosi. Oggi assai meno. Di dissalatori Sicilia e Calabria hanno drammaticamente bisogno ora e sempre più in futuro. Non del Ponte “Salvini-Salini” sullo Stretto di Messina.
Pino Scorciapino
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