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No alla Violenza - Le cause di esclusione del reato di diffamazione
L’ordinamento giuridico prevede una serie di cause di esclusione del reato di diffamazione.
In pratica, in presenza di determinate esigenze, ovvero di particolari situazioni tassativamente previste dalla legge, è prevista una serie di casi in cui l’offesa dell’altrui reputazione non configura alcun reato.
Le cause di giustificazione, c.d. anche scriminanti o cause di liceità, sono particolari situazioni in presenza delle quali un fatto, che altrimenti costituirebbe reato, non acquista tale carattere perché la legge lo impone o lo consente.
Le cause di esclusione del reato di diffamazione vengono in rilievo soprattutto nell’ambito della diffamazione a mezzo stampa, tuttavia esse sono applicabili a chiunque e non solo ai giornalisti.
Tra queste, di particolare importanza vi è la causa di giustificazione dell’esercizio di un diritto prevista dall’art. 51 c.p., secondo il quale “l’esercizio di un diritto o l’adempimento di un dovere imposto da una norma giuridica o da un ordine legittimo dalla pubblica autorità, esclude la punibilità”.
Tuttavia, la scriminante dell'esercizio del dovere, per la sua esistenza necessita il ricorrere di alcuni presupposti. In primo luogo l'esistenza di un diritto, da intendersi, come ogni potere giuridico di agire (diritto soggettivo, potestativo, potestà o facoltà giuridica), eccetto gli interessi legittimi e i c.d. interessi semplici. Poi tale diritto deve trovare la propria fonte del diritto scriminante in una legge in senso stretto, un regolamento, un atto amministrativo, un provvedimento giurisdizionale, un contratto di diritto privato, la consuetudine, una fonte comunitaria. Successivamente il diritto deve essere esercitato dal suo titolare o dal suo rappresentante, al quale si estenderà la scriminante in esame, qualora si tratti di diritto non personale (titolarità).
Affinché possa poi essere esclusa la punibilità del fatto commesso, la stessa norma che riconosce il diritto deve consentire, almeno implicitamente, di poterlo esercitare mediante quella determinata azione che di regola costituisce reato. Si tratta dei c.d. limiti all’esercizio del diritto, che possono essere intrinseci, se desumibili dalla ratio e dal contenuto astratto della norma da cui promana il diritto, oppure estrinseci, se si possono ricavare dal complesso dell'ordinamento giuridico, compreso quello penale, in quanto volti alla salvaguardia di diritti o interessi che risultano avere valore uguale o maggiore di quello da esercitarsi, sulla base di un giudizio di bilanciamento.
La scriminante di cui all’art. 51 c.p. si applica ad alcuni diritti costituzionalmente garantiti, quali il diritto di cronaca giornalistica, il diritto di critica ed il diritto di satira.
Carmela Mazza
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